La rivoluzione del satellite e del digitale terrestre può mettere in crisi, in prospettiva, lo storico «duopolio» Rai-Mediaset.
Ora anche i dati confermano un’impressione che gli addetti ai lavori hanno maturato da tempo: l’egemonia della tv pubblica e della prima tv commerciale del Paese è destinata a non essere più così solida e, accanto a Sky (ormai stabilmente sopra i quattro milioni di abbonati dichiarati) e a La7, si fanno strada molte piccole emittenti locali e nuovi progetti tematici che puntano tutto sulla qualità.
Nel giro di dieci giorni, due rapporti di rilevanza nazionale hanno fatto il punto sull’evoluzione tecnologica e industriale della televisione italiana e sulle abitudini del popolo dei telespettatori. Prima la ricerca targata Dgtvi e poi il rapporto Censis hanno confermato che le cose stanno cambiando e che il mercato della televisione è tutt’altro che «una foresta pietrificata».
In un contesto di crescita complessiva, visto che i telespettatori sono saliti dal 94,4% del 2006 al 96,4% del 2007, i canali generalisti perdono decisamente terreno nella fascia di pubblico più appetibile: i giovani. Dal 99,1% di spettatori giovani che hanno scelto i canali tradizionali nel 2006 si scende infatti al 93,5% di quest’anno, a testimonianza del fatto che i palinsesti di Rai e Mediaset hanno qualche difficoltà ad adattarsi alle richieste del pubblico under 30.
Tanto più che quest’ultimo sembra ormai orientarsi preferibilmente sull’offerta satellitare, salita per questo target addirittura al 41% e attestatasi al 28,3% nel pubblico complessivo, contro il 17,7% di dodici mesi fa. Bene anche il digitale terrestre, che ha quasi raddoppiato gli utenti passando dal 7% al 13,9%.
«C’è sicuramente in atto un fenomeno di riorientamento dei consumi verso modelli non tradizionali – spiega Augusto Preta, presidente di Italmedia Consulting – In questo senso, i giovani rappresentano un caso a parte: o non guardano più la tv o, se la guardano, preferiscono scegliere prodotti specifici. Per loro non contano più i contenitori, ma i contenuti». Sui contenitori, ormai si parla di consumo cross mediale, intendendo con questa espressione la capacità di unire piattaforme diverse: si naviga su Internet, si scaricano contenuti dai cellulari di nuova generazione e si guardano programmi tematici in tv.
«È un fenomeno che c’è sempre stato, ma che adesso ha margini di sviluppo interessanti – aggiunge Preta – se si considera che la tv generalista rappresenta un mercato maturo, mentre satellite e digitale terrestre possono crescere, soprattutto dal punto di vista dei contenuti».
Ciò vuol dire ancora programmi tematici, dallo sport all’informazione alla cultura, e soprattutto scommessa sulla qualità. Chi saprà essere realmente innovativo e alternativo, come i canali territoriali, potrà allargare la propria «nicchia» di mercato, anche se resta un’incognita pesante sugli scenari futuri: il passaggio definitivo dall’analogico al digitale.
«Una volta digitalizzato tutto il sistema, è possibile che si avvii un processo di concentrazione tra le diverse emittenti» annota Preta. Per legge il termine è fissato al 2012 e solo la politica e i governi possono decidere se anticipare o posticipare quella data. Nel frattempo, la sfida a distanza tra «vecchie» tv generaliste e «nuovi» canali di qualità è destinata a continuare.
Diego Motta
per "Avvenire"