
Dapporto, lei si scatena in scena in una delle commedia più divertenti di Goldoni. È un bel salto rispetto ai suoi ruoli tv di solito molto drammatici.
«Il passaggio è stato graduale. L'anno scorso interpretavo Il malato immaginario di Molière, e prima ancora le commedie di Neil Simon. Con Goldoni è l'ora del salto di qualità verso i grandi autori italiani, come mi consigliava sempre Lucio Ardenzi (grande impresario teatrale scomparso nel 2002)».
Inoltre quest'anno cade il trecentenario della nascita di Goldoni.
«È stato un caso. Lo spettacolo di Calenda è molto elegante ed in realtà è un omaggio a Strehler. Se non ci fosse stato lui, Goldoni sarebbe rimasto un autore minore perché i produttori non sapevano leggerlo. I grandi registi come lui, quelli che riescono a plasmare un attore, in Italia sono pochi: Ronconi, Cobelli, Castri. Ecco, il mio grande rimpianto è proprio quello di non avere recitato con Strehler».
C'è qualcosa della comicità che porta in scena "rubato" a suo padre, il grande Carlo Dapporto?
«Certo, non ho problemi ad ammetterlo: io sono la prosecuzione cromosomica di mio
padre. E si vede nei due gemelli: Zanetto, quello sciocco, assomiglia alla macchietta ai Agostino, l'altro, ricorda mio padre quando faceva l'elegantone. II pubblico ancora ama Carlo Dapporto. Peccato che ora la tv si sia dimenticata di lui come di altri grandi come Walter Chiari o Renato Rascel».
In tv e nel cinema, invece, lei ha seguito una strada autonoma.
«Mi sono gettato sui ruoli drammatici, poiché sapevo di non poter competere con mio padre in quelli comici. In tv mi è piaciuto interpretare la fiction su Falcone perché ho dovuto studiare, fare una lavoro capillare di ricerca come faceva il grande Gian Maria Volonté».
Con «Distretto di polizia» ha chiuso?
«Si, mi avevano chiesto di proseguire ma come esperienza non mi è piaciuta, anche se con me lavorava mio figlio Davide che fa il regista. Non mi interessa diventare un operaio della catena di montaggio della fiction. Nel cassetto ho già altri progetti».
Anche di cinema?
«Per ora no, anche perché funzionano solo i film comici. Eppure ci sono registi molto bravi, come Saverio Costanzo che conosco sin da bambino, che parla di problemi internazionali. Il cinema italiano crescerà solo quando ci decideremo ad uscire da casa nostra».
Angela Calvini
per "Avvenire"
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