È un numero d'attore strepitoso quello di Albanese, in chiusura della sua gag settimanale da Fabio Fazio: forse prevedibile, ma perfetto nell'esecuzione e soprattutto inevitabile. Cetto Laqualunque lascia per mancanza di stimoli e impossibilità a competere. È il vecchio luogo comune, certo, della satira che non regge più il grottesco del reale, ma che alternative ci sono se il reale dimostra con impegno massimo la volontà di perpetuarlo, il luogo comune in questione?
Vissuta negli anni come una maschera allucinante di mondi lontanissimi - o che si vogliono ritenere tali - la caricatura di Cetto-Albanese, il politico del sud legato a quelle tre, quattro cose (una in particolare) che rendono sopportabile l'esistenza vista come luogo di esclusivo godimento, accusa il colpo. Volendo, era una maschera più umana e sociale che politica, ma poi la politica presenta il conto, sono quei tipi improponibili che festeggiano a champagne e mangiano mortadella e berciano a impadronirsi di Cetto e a specchiarsi.
Cetto a quel punto prova a smarcarsi seguendo la trafila della commedia dell'arte. E lì, in quei cinque minuti di gag, c'è la tv che per una volta fa del bene alla politica medesima ed evita, come invece è prassi, di esaltarne il peggio, rallentarla, modificarla in corsa conferendole le note parvenze mostruose.
per "La Repubblica"