«Tutte le volte che vedo "Sfide" mi prende il magone, perché so che un giorno il programma finirà ».Â
Se una frase del genere viene da un totem come Aldo Grasso, si può intuire perché stasera, alle 23.40 circa (con una prima puntata dedicata alla morte nello sport con protagonisti Bettini, Materazzi, la Honved di Puskas, il dirigente ucciso in terza categoria), per lui e molti altri sportivi in Italia sarà così piacevole ritrovare un appuntamento che è come il libro preferito sul comodino, l'unico in Italia che prova a ricordare che sport significa anche gioia, sofferenza, vittoria, sconfitta, emozioni.
In una parola, vita. La nuova serie, conterà su diciotto puntate in seconda serata e due in prima: come sempre su Raitre e come sempre plasmate da Simona Ercolani, la "mamma" di "Sfide",la non giornalista sportiva che ha cambiato il modo di raccontare lo sport in tv.
Simona, il suo è un programma "cult"?
«à una parola che non mi da fastidio, ne sono orgogliosa à tutta via vero che è un aggettivo che talvolta si applica alle cose passate, morte. Preferisco essere viva».
Come è nato "Sfide"?
«Curavo per Raitre un rotocalco di attualità e all'interno di una delle ultime puntate inserimmo l'episodio di Tommy Smith, il velocista nero che alle Olimpiadi del 1968 si rese icona della protesta dei neri. Non avevo mai visto le immagini, non ho mai praticato sport e non l'ho mai seguito prima di "Sfide". Rimasi colpita.
Subito dopo andai in viaggio di nozze in Argentina e mi preparai leggendo i libri di Soriano. E quando sono tornata a Roma ho proposto ai dirigenti della rete di rileggere proprio alla Soriano le vicende dello sport. Ebbi una grande faccia tosta, ma la risposta fu positiva Per fortuna».
"Sfide" vanta molti tentativi di imitazione, tutti falliti
Quanto è difficile realizzarlo, quanto tempo è necessario?
«Cominciamo a lavorare due mesi prima, nel primo facciamo gli autori, poi si inizia a girare, a montare. Una puntata si prepara in dieci giorni Ci vuole molto tempo per le interviste, le nostre sono molto lunghe. Poi ritocchiamo molte volte il servizio, per chiuderlo ci vogliono quattro giorni di lavoro».
Un programma come "Sfide" è stato creato da una donna. à un caso?
«Per gli uomini lo spirito della competizione è più accentuato. "Sfide" è la trasmissione sportiva più vista dalle donne, spesso fa l'elogio della sconfitta, per noi non è un valore in sé. Di una storia non mi interessa il lieto fine, ma la successione degli avvenimenti. E le storie in cui cadi e ti rialzi sono le più belle. à molto femminile».
Si è mai sentita lâanti-Biscardi?
«Per niente. Faccio un altro lavoro, sono un'autrice, non una giornalista. Non mi rivolgo solo agli appassionati, ma a tutti. Lo sport per me è una materia da plasmare, una specie di Das, e io la lavoro. Diciamo che da Biscardi o in quel tipo di programmi si discute il brutto dello sport, noi raccontiamo il bello».
Gli ultimi mesi vi hanno offerto parecchi spunti: dal mondiale, agli scandali, alla violenza. Su cosa punterete?
Se una frase del genere viene da un totem come Aldo Grasso, si può intuire perché stasera, alle 23.40 circa (con una prima puntata dedicata alla morte nello sport con protagonisti Bettini, Materazzi, la Honved di Puskas, il dirigente ucciso in terza categoria), per lui e molti altri sportivi in Italia sarà così piacevole ritrovare un appuntamento che è come il libro preferito sul comodino, l'unico in Italia che prova a ricordare che sport significa anche gioia, sofferenza, vittoria, sconfitta, emozioni.
In una parola, vita. La nuova serie, conterà su diciotto puntate in seconda serata e due in prima: come sempre su Raitre e come sempre plasmate da Simona Ercolani, la "mamma" di "Sfide",la non giornalista sportiva che ha cambiato il modo di raccontare lo sport in tv.
Simona, il suo è un programma "cult"?
«à una parola che non mi da fastidio, ne sono orgogliosa à tutta via vero che è un aggettivo che talvolta si applica alle cose passate, morte. Preferisco essere viva».
Come è nato "Sfide"?

«Curavo per Raitre un rotocalco di attualità e all'interno di una delle ultime puntate inserimmo l'episodio di Tommy Smith, il velocista nero che alle Olimpiadi del 1968 si rese icona della protesta dei neri. Non avevo mai visto le immagini, non ho mai praticato sport e non l'ho mai seguito prima di "Sfide". Rimasi colpita.
Subito dopo andai in viaggio di nozze in Argentina e mi preparai leggendo i libri di Soriano. E quando sono tornata a Roma ho proposto ai dirigenti della rete di rileggere proprio alla Soriano le vicende dello sport. Ebbi una grande faccia tosta, ma la risposta fu positiva Per fortuna».
"Sfide" vanta molti tentativi di imitazione, tutti falliti
Quanto è difficile realizzarlo, quanto tempo è necessario?
«Cominciamo a lavorare due mesi prima, nel primo facciamo gli autori, poi si inizia a girare, a montare. Una puntata si prepara in dieci giorni Ci vuole molto tempo per le interviste, le nostre sono molto lunghe. Poi ritocchiamo molte volte il servizio, per chiuderlo ci vogliono quattro giorni di lavoro».
Un programma come "Sfide" è stato creato da una donna. à un caso?
«Per gli uomini lo spirito della competizione è più accentuato. "Sfide" è la trasmissione sportiva più vista dalle donne, spesso fa l'elogio della sconfitta, per noi non è un valore in sé. Di una storia non mi interessa il lieto fine, ma la successione degli avvenimenti. E le storie in cui cadi e ti rialzi sono le più belle. à molto femminile».
Si è mai sentita lâanti-Biscardi?
«Per niente. Faccio un altro lavoro, sono un'autrice, non una giornalista. Non mi rivolgo solo agli appassionati, ma a tutti. Lo sport per me è una materia da plasmare, una specie di Das, e io la lavoro. Diciamo che da Biscardi o in quel tipo di programmi si discute il brutto dello sport, noi raccontiamo il bello».
Gli ultimi mesi vi hanno offerto parecchi spunti: dal mondiale, agli scandali, alla violenza. Su cosa punterete?
«Mi ha colpito molto la vicenda di Licursi. La guerriglia urbana è tremenda, ma in qualche maniera te la puoi immaginare. Invece una brava persona accompagna una squadra di ragazzi su un campo sterrato, al freddo, senza guadagnarci nulla E muore. E lì dovrebbe esserci solo vita. La sua storia ci ha fatto prendere la decisione di dedicare tutte le settimane una storia al calcio dilettantistico»
E invece qualile "chicche"?
«Una nuova rubrica, 'Vicini di figurine". La penso un po' come una specie di "sliding doors" calcistica: andremo a pescare un giocatore dimenticato che sull'album Panini è stato vicino a un grande campione. E cureremo un alfabeto dello sport la "veronica" del tennis spiegata da Panatta, per esempio».
E invece qualile "chicche"?
«Una nuova rubrica, 'Vicini di figurine". La penso un po' come una specie di "sliding doors" calcistica: andremo a pescare un giocatore dimenticato che sull'album Panini è stato vicino a un grande campione. E cureremo un alfabeto dello sport la "veronica" del tennis spiegata da Panatta, per esempio».
Guardandosi indietro, quali sono i ritratti o le storie di cui si sente pìù fiera?
«La storia di Opera, la squadra creata dei carcerati. E poi il ritratto di Saggio, ho passato 5 giorni con lui; è stato molto partecipe. Molti giocatori si lasciano andare, sanno che non cerchiamo la frase a effetto».
«La storia di Opera, la squadra creata dei carcerati. E poi il ritratto di Saggio, ho passato 5 giorni con lui; è stato molto partecipe. Molti giocatori si lasciano andare, sanno che non cerchiamo la frase a effetto».
Alla fine, forse la sfida vera è fare un programma così nella tv italiana 2007?
«Assolutamente sì. Ogni anno è più difficile trovare posto, quest'anno ci hanno spostato dal venerdì al giovedì, contro "Grande Fratello". E poi è una sfida rinnovarsi e mantenere alto il livello di qualità con budget che diminuiscono invece di aumentare, questo vale sia in Rai che in Mediaset. Ci sono delle persone affezionate al programma che potrebbero guadagnare di più altrove. E convincerle è un'altra sfida».