Ce ne accorgiamo anche noi che adesso ne stiamo scrivendo: Rignano è una trappola nella quale noi giornalisti non dobbiamo cadere. Ed è curioso che proprio Bruno Vespa, così cauto in politica, finga di non sapere che a troppo raccontare un delitto sempre si corre il rischio di commettere un altro delitto. C'è il racconto del delitto e c'è il delitto del racconto.
Vogliamo dire che ormai in Italia non c'è notizia di uno stupro che non diventi stupro di una notizia. E che, dunque, con orrore stiamo assistendo alla veloce trasformazione di una orribile vicenda di presunta pedofilia o anche, se volete, di presunta malagiustizia, in un nuovo abuso del diritto di cronaca, nell'accanimento giornalistico su dei bambini che, abbiano o no subito quelle violenze sessuali, sicuramente ora sono carne da insaccare nel salsicciotto del talk show, sono animali da laboratorio per la macelleria dell'informazione. Com'è possibile che anche i colleglli più sensibili, perspicaci e intelligenti non si fermano dinanzi alla sconcezza? Secondo noi, nasconde sempre qualcosa di malato l'uomo che non chiude le palpebre davanti a una piaga. E non è civile l'idea che il diritto di cronaca significhi infilare il naso nelle nefandezze.
Diciamo la verità: il caso Cogne ci aveva colti impreparati. Non avevamo capito subito quello che stava accadendo nell'informazione italiana. In molti ricordano l'iniziale spaesamento e poi il crescente disagio dinanzi alla rappresentazione della violenza, alla voglia di mostrare nel dettaglio lo scempio di un corpicino, all'indugiare sul particolare raccapricciante, al calcolo dei colpi mortali, al dilungarsi sull'efferatezza, allo spacciare per scienza il blabla vanitoso degli psicologi del sabot assassino, alla sanguinolenta esibizione di sapere degli esperti di tragedie greche, alla truce chiacchiera su criminologia, cervello e maternità. Insomma, ci abbiamo messo un po' di tempo a capire che dietro l'eccesso di cronaca c'era la morbosità, e che non si trattava di analisi fredda e neppure di resoconto intelligente ma di compiacimento.
Ora però lo sappiamo. Adesso capiamo quei che accade mentre accade. E dunque adesso dobbiamo dirlo subito: quel che rischia di tornare fuori, anche attorno a Rignano Flaminio e alla pedofilia, non è il buon giornalismo, ma una roba da pattumiera dell'anima, una immondizia adatta al giornalismo-immondizia e non certo alla Rai, a Mediaset, ai grandi quotidiani e ai settimanali italiani che, come già denunziò l'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2003, «danno un rilievo altissimo ai fatti di violenza», eccedono, insistono, scavano con un furore che «finisce per dare ai quei drammi una valenza esemplare che essi sicuramente non hanno», e alla fine questa "gutter press", questo giornalismo da rigagnolo, commette «un grave attentato alla dignità umana».
Si sa che la dittatura fascista aveva abolito la cronaca nera ritenendola eversiva e si capisce che il giornalismo italiano si sia liberato liberando il diritto di cronaca. Noi non pensiamo che la rappresentazione, il racconto, la fotografia, la discussione anche quella inutile e oziosa sulla violenza, debbano essere denunziate più della violenza stessa. Ma una cosa è raccontare che c'è stato un caso di harakiri e un'altra mostrare lo sparpagliamento delle viscere. Ci sono cose che debbono essere fatte perché sono importanti. Il magistrato per esempio deve indagare, indagare e indagare, così come il chirurgo deve operare. Ma l'operazione non si fa a "Matrix". E i processi sì celebrano in tribunale. Fa bene il macellaio a squartare il vitello, ma non certo davanti a un pubblico pagante.
E non fidatevi dell'indignazione morale che diventa spettacolo, non fatevi prendere dal "serial" sul giallo di Rignano, respingete l'idea "neutrale" di mettere a confronto in televisione i genitori e i presunti pedofilia non credete a chi vi spaccia l'abuso di cronaca come educativo, a chi cerca in televisione la verità senza tabù, a chi vende "la necessità di sapere". Chi davvero si indigna capisce che ci sono degli eccessi dinanzi ai quali solo il silenzio è l'atteggiamento adeguato. Ci sono casi di abbrutimento della vita che sono così eccezionali da meritare professionalità eccezionali che sappiano, quando occorre, anche chiudere gli occhi per pietà.
per "La Repubblica"