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Il Venerdìtoriale - Report critica ''la Rete'' e la rete allora critica Report

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Fonte: Digital-Sat (original)

T
Televisione

Riprendiamo in qualche modo l'argomento trattato la scorsa settimana, perché oggi diciamo la nostra sulla puntata di Report che domenica si è occupato di Internet e dei social network, scatenando le ire e le proteste sulla rete, su twitter e facebook, di un gran numero di utenti. Quale è stato l'errore della Gabanelli? Pressapochismo? Ignoranza? Discutiamone in questo nuovo numero del VENERDÌTORIALE di Digital-Sat.

Parto dal commento più bello, a mio modesto parere, che ho letto in questi giorni su twitter, firmato da jovanz74: «Più che un programma televisivo pareva una Tag Cloud dinamica». In effetti a me ha dato lo stesso effetto... L'accostare temi così diversi tra cui - cito - «Facebook, Adsense, Twitter, Google, P2P, phishing, Wikileaks, profilazioni marchettare non autorizzate, violazioni della privacy, sostituzione di persona, Zynga, diffamazione, ...» non è stata alla fin fine una scelta felice.

Diciamo subito che per chi non avesse la visto la puntata può recuperarla facilmente sul sempre ottimo Rai.tv. Chi invece ha avuto la (s)fortuna di vederla può esserne uscito in due modi: tristemente preoccupato o tristemente inca..volato. La tristezza è un sentimento comune perché si è trattato in ogni caso di un'occasione persa, dato che accade sempre raramente che la tv, specie quella generalista, si occupi di Internet e di rete. Lo faceva con grande stile un programma come Sugo su Rai4, ci prova a farlo - in un'altra ottica - anche Cosmo (il cui sottotitolo originale era proprio "Siamo tutti una rete") su Rai3, peraltro in onda subito dopo Report.

Tornando a Report, l'inchiesta di Stefania Rimini ha da subito preso una piega schizofrenica, passando da un argomento all'altro in modo molto, forse troppo, veloce. Troppi argomenti, alcuni - come si evince dalla lista riportata sopra - non troppo coerenti tra loro, anche se un filo conduttore c'era ed era proprio nel titolo («Il prodotto sei tu») che non giustifica però l'aver ignorato molte altre sfaccettature decisamente positive che la rete offre, ai privati e alle aziende, senza ricorrere ad operazioni disoneste, esistenti sia online che offline, nella vita reale.

A tal proposito è giusto quello che ha scritto ieri Paolo Ainio su "Il Post": «È vero. Report ha ragione. Nel sistema economico della rete, noi utenti siamo il "prodotto" che gli operatori come Facebook vendono alle aziende sotto forma di pubblicità. Ma così è anche quando Rai3 vende uno spot a Barilla o quando un qualsiasi quotidiano vende una pagina a Fiat che poi ci mette la 500». In rete - continua Ainio - molte informazioni non sono da ricercare ma vengono offerte direttamente dall'utente stesso che decide di "compilare" il suo profilo con molti dettagli, alcuni dei quali anche personali. E le aziende non fanno altro che prenderli e usarli, essendo di pubblico dominio. Ed è verissimo che nessuno in rete legge le clausole dei contratti, specie di servizi gratuiti, ma questo accade sempre più spesso anche offline. Purtroppo.

Una parte di quell'inchiesta io infatti la salverei: l'aver messo in luce - se mai ce ne fosse stato bisogno - la superficialità con cui le persone, in particolare i giovanissimi, mettono in rete le informazioni che li riguardano, senza pensare alle conseguenze di tali azioni, è una cosa che ci deve far riflettere. La semplicità d'utilizzo, l'usabilità, rende trasparente il mezzo tecnologico di cui ci serviamo e, come se non esistesse, non pensiamo che mentre carichiamo una foto che ci ritrae o un video girato durante una gita scolastica, possiamo cedere i diritti di quel contenuto a terzi. Anche qui esiste un invisibile prezzo da pagare.

Paolo AinioAl di là di questo necessario "terrorismo psicologico", il problema più grande - lo ripetiamo - è stato quello di unire un tema così delicato, trattato con uno stile ufficialmente divulgativo ma praticamente confusionario, ad altri come la pirateria informatica o Wikileaks che non è che stiano così vicini tra loro... Più adiacenti invece potevano essere le tante startup italiane che sulla rete (soprav)vivono e cercano di prosperare, usando i pregi più che i difetti della cultura digitale. C'è poi il crowdsourcing, operazione decisamente lodevole per una collaborazione reciproca mirata ad un obiettivo comune. Report ha invece preferito inserire a tutti i costi Wikileaks, nome decisamente più ‘noto' e anche più politicizzato, sebbene avesse un legame con il titolo pressoché nullo, perché per Julian Assange il prodotto non siamo di certo noi...

Pertanto è vero ciò che ha detto la Gabanelli all'Unità, ovvero che la televisione generalista deve parlare anche alla signora Cesira e non può permettersi di scendere nei dettagli come invece è possibile fare online, ma sicuramente un taglio diverso avrebbe reso tutti un po' meno scontenti. E tornando sull'allarme lanciato da Lessig in merito al conflitto che starebbe per intercorrere tra Tv e Internet in Italia - di cui parlavamo la settimana scorsa - chi l'avrebbe mai detto che ad "inaugurarlo" sarebbe stato proprio un programma come Report?

Giorgio Scorsone
per "Digital-Sat.it"

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