La pubblicità classica, cioè quella diffusa attraverso i mezzi di comunicazione di massa, compreso Internet, in Italia vale nove miliardi di euro.
È il risultato delle misurazioni di Nielsen Media sugli investimenti del 2007. Le televisioni generaliste raccolgono ancora la maggior parte di questo denaro, il 52,7 per cento pari a 4,7 miliardi; includendo gli investimenti sui canali satellitari gli introiti e la quota di mercato del comparto televisivo aumentano, anche se non è possibile determinare con precisione di quanto. Nielsen misura solo alcuni dei canali a pagamento (Sky Sport 1; Sky Cinema 1 e 3; Sky Tg24; Fox; FoxLife; Discovery Channel; Jetix e i cosiddetti canali fantasma, vale a dire il raddoppio di queste stesse programmazioni ma in differita di un'ora) ed assegna loro il valore di 66,8 milioni di euro. Secondo Sky pubblicità, concessionaria del gruppo, il valore complessivo degli oltre venti canali in portafoglio è di 243 milioni di euro.
Senza questo valore la crescita percentuale della televisione non risulterebbe pari ma sarebbe inferiore a quella del totale mercato; le reti generaliste infatti non riescono a tenere il ritmo degli altri mezzi, la Rai cresce dello 0,2 per cento e Mediaset dell'I,1 per cento a fronte di una crescita degli investimenti complessivi del 3,1 per cento.
Ciò non toglie, naturalmente, che i due gruppi valgano da soli il 49 per cento dell'intero mercato pubblicitario nazionale. Se consideriamo il comparto televisivo da solo vediamo che alla Rai va il 29 per cento della raccolta a fronte del 41,8 per cento degli ascolti, a Mediaset va il 64,2 per cento degli investimenti e il 40,5 per cento dell'audience.
Questi valori dicono da soli cosa avviene in Italia in fatto di pluralismo economico e di posizioni dominanti.
A contenere le conseguenze di questa situazione e a mantenere viva l'ipotesi di un possibile ingresso nel mercato televisivo da parte di nuovi operatori c'è in sostanza solo il Sic (Sistema integrato delle comunicazioni), il paniere definito dalla legge numero 112 del 2004, nota come Gasparri, che considera illecito il superamento del 20 per cento del mercato risultante dalla somma di svariati settori economici (stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica, anche tramite Internet; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni).
Il compito di definire l'entità di questo mutevole mercato dei mercati spetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, guidata da Corrado Calabro, che qualche giorno fa ha infatti deliberato il valore del Sic per l'anno 2006: 23,640 miliardi di euro. Il limite Antitrust insuperabile, ed insuperato, per i singoli soggetti imprenditoriali è quindi di 4,7 miliardi d euro.
Si tratta di una soglia così elevata che nonostante gli alti livelli di concentrazione già raggiunti dai soggetti esistenti consente loro ancora ampie possibilità di crescita. Riguardo ai ricavi pubblicitari dell'area classica l'Autorità rileva che «il settore radiotelevisivo rappresenta oltre il 51 per cento del totale, mentre la stampa quotidiana e periodica si attesta al 35 per cento e l'editoria residua al 13,5 per cento».
Osservando il livello di concentrazione dell'editoria quotidiana e periodica l'Autorità sottolinea come alle otto principali imprese vada circa il 60 per cento delle risorse, mentre in ambito televisivo quattro imprese ne controllano oltre il 91 per cento.
È una condizione di mercato che non determina solo una ripartizione delle risorse pubblicitarie anomala rispetto agli altri Paesi occidentali, ma che soprattutto frena lo sviluppo e rallenta il ritmo di crescita della forza lavoro dedicata all'innovazione.
Cleila Pallotta
per "Il Corriere della Sera"
(03/03/2008)