Maurice Lévy, vive e lavora al centro del cambiamento che descrive con naturalezza e, allo stesso tempo, con stupore. Per lui — 65 anni, presidente e ad del gruppo francese Publicis, uno dei quattro colossi della comunicazione e dell'advertising nel mondo — «la rivoluzione digitale che ci sta investendo è una sfida per le irnprese, per i governi». Lévy è membro del Consiglio internazionale del Council on foreign relations di New York e del World economie forum foundation board di Ginevra; è nel cda della Banca di Francia e nel consiglio direttivo di Deutsche Bank. Da anni dà del tu alla classe dirigente di mezzo mondo. In Italia è di passaggio, per un incontro organizzato dalla società The European House-Ambrosetti.
In cosa consiste il cambiamento?
Cambiano lo spazio e il tempo nei quali ci muoviamo. La condivisione delle informazioni e l'accesso alle informazioni riguardano tutti in tutto il mondo; su internet le persone parlano con amici lontani migliaia di chilometri, si scambiano consigli, pubblicano blog senza dover chiedere l'autorizzazione a nessuno. Possiamo comprare prodotti a tutte le ore del giorno e della notte: l'ordine viene ricevuto a Los Angeles e magari passa dai Caraibi a Pechino prima che la consegna arrivi a casa nostra.
Cosa devono fare media e pubblicità?
La società del futuro sarà digitale, interattiva e mutevole: questo apre grandi possibilità per la comunicazione. L'esplosione di nuovi mezzi di comunicazione in questi ultimi anni è impressionante: internet, piattaforme e canali tv, free press, telefoni cellulari. Ma il tempo che gli individui possono dedicare alla fruizione dei media resta costante: i ragazzi navigano
in internet per 4 o 5 ore al giorno, tutto tempo che prima veniva dedicato alla tv tradizionale. Nella spaventosa frammentazione del pubblico il bombardamento in tv serve a poco,ma è possibile individuare i target in modo più preciso: 200-300mila consumatori se definiti in profondità possono avere molto valore, con loro l'azienda può dialogare direttamente, può sviluppare azioni sul brand. Per paradosso, la pubblicità attraverso la rete o le community può anche arrivare ai consumatori che odiano un detenniriato brand e sviluppare con loro un utile canale di comunicazione.
Intanto il mercato pubblicitario sembra fermo, almeno in Italia e in Europa. È una crisi d'attesa, in vista di nuove evoluzioni tecnologiche e di nuovi equilibri nei media?
No. la crisi della pubblicità non c'entra con una strategia wait and see. Più semplicemente la profittabilità delle imprese europee è inferiore a quella dei loro concorrenti Usa: per questo la crescita è lenta, anche per quanto riguarda il mercato pubblicitario. Nella rivoluzione digitale di cui dicevo, vinceranno le imprese e i sistemi industriali che si faranno trovare pronti.
Quali sono le sue previsioni per i mercati pubblicitari europei nei prossimi anni?
Quello del Regno Unito è un mercato solido, la Germania si è ripresa bene, la Spagna continuerà a crescere in modo considerevole. Non vedo bene Francia e Italia: rischiano di rimanere indietro. Tra l'altro i due gruppi della tv commerciale, Tf1 e Mediaset, non aiutano l'apertura del mercato.
Da dove vengono i problemi?
Le mie perplessità riguardano in generale la capacità dei due Paesi di realizzare le riforme necessarie a tenere il passo della società e dell'economia che cambiano. In Francia non credo che chi vincerà le elezioni — che sia Nicolas Sarkozy o Ségolène Royal — avrà il coraggio di decidere sui temi chiave.
E in ltalia?
Il vostro è un Paese di contrasti. Avete alcuni tra gli imprenditori più bravi al mondo, gente che il business ce l'ha nel sangue. Ma i Governi sono stati spesso deludenti (per essere gentili): Berlusconi aveva i numeri giusti ma non ha fatto neanche una delle riforme necessarie, oggi Prodi è troppo debole. Credo che l'impasse durerà almeno altri due anni.
Luca Veronese
per "Il Sole 24 Ore"
per "Il Sole 24 Ore"