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Lanciati quasi per scommessa da un piccolo network, la Fox Tv, nell'ora in cui imperversano i seguitissimi Robinson, questi deformi personaggi nati dalla matita di Matt Groening sono riusciti ben presto a imporsi come il più trascinate fatto di costume della televisione.
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I Simpson, com'è noto, sono cinque giallastri e deformi cartoon; rappresentano una famiglia media americana: brutta, risentita, un poco irriverente con le istituzioni. Il collante che tiene saldi i rapporti dello sgraziato nucleo è una sorta di amaro sarcasmo, più genetico che consapevole. C'è un padre di 35 anni, Homer, che fa il custode di una centrale nucleare e i cui tratti caratteriali sono la viltà e la grettezza. C'è una madre di 33 anni, Marge, casalinga disperata. E ci sono tre figli: Bart, quarta elementare, falso, imbroglione, egoista, ultimo erede del ribellismo letterario americano; Lisa, la tenera Lisa di 8 anni, nevrotica, intellettuale, troppo sagace, vanitosela; Maggie succhiatrice di un ciucciotto da cui ricava un'inquietante colonna sonora.
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Come scrive Stefania Carini, «quello che colpisce ne "I Simpson" è la densità di citazioni, omaggi, parodie, e il ritmo elevato con cui queste allusioni vengono proposte, tanto che spesso è difficile cogliere tutto a una prima e unica visione. Ma l'allusione non è mai fine a se stessa. Crea un mondo animato articolato e immerso nei media come il nostro, ricordandoci che tutto è rappresentazione, riproduzione, citazione e quindi, anche, distorsione. Ormai leggiamo il mondo come se fossimo davanti a uno schermo, e "I Simpson" non fanno altro che utilizzare questo nostro immaginario per ribaltarlo comicamente. Da un lato ne svelano l'artificiosità , dall'altro ne ribadiscono l'importanza. "I Simpson" irridono la cultura pop e allo stesso tempo la omaggiano».
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Aldo Grasso
per "Il Corriere della Sera"
per "Il Corriere della Sera"