Dalla riforma del '75 in poi, la Rai porta avanti le proprie strategie nella più assoluta incertezza circa gli assetti legislativi che la riguardano.
Da allora non è mai stata approvata una riforma organica del servizio pubblico ma solo "correttivi", in genere provvisori, rispondenti magari a interessi esterni all' azienda, come la ripartizione dei poteri tra direttole generale e Cda, a vantaggio del primo, attuata con la legge 10 dell'85, in cambio della "diretta" garantita («provvisoriamente») a Fininvest.
Così la norma che ha dato vita ai «Cda dei professori», nominati dai presidenti delle Camere, era a sua volta provvisoria ma ha ribilanciato i poteri in direzione del Consiglio.
La quotazione in Borsa prevista dalla legge Gasparri non è mai stata attuata.  Nessuna di queste leggi ha modificato il perimetro aziendale imperniato sulle tre reti televisive, create nel '75 per essere assegnate ciascuna ad uno dei tre maggiori partiti nazionali
Il Ddl che sarà presentato la prossima settimana al Consiglio dei ministri, prospetta alla Rai una variazione dell'assetto non priva di rischi.
Si prevedono tre distinte società : una per la rete di trasmissione, una a prevalente finanziamento pubblico, con due reti ad affollamento pubblicitario ridotto, e una finanziata solo dalla pubblicità , alla quale farà capo una rete tv. I dirigenti Rai, finora, non giudicavano una variabile concreta tale riforma societaria.
La crisi del Cda e l'intervento dell'azionista sul proprio consigliere hanno però provocato un'accelerazione. Lo spettro della separazione societaria, adesso, aleggia su Viale Mazzini. à diffìcile, certo, mettere insieme le culture politiche presenti nella maggioranza sulla modifica dell'assetto Rai.
Non è impossibile, insomma, che alla fine la legge passi solo come modifica dei criteri di nomina del vertice o che la separazione societaria si riduca a quella contabile, che lasci immutato il finanziamento "ibrido" delle tre retili rischio, tuttavia, adesso esiste. Incertezza si aggiunge a incertezza. Quale azienda può preparare un piano industriale triennale senza sapere se, nel triennio, dovrà cambiare la propria offerta editoriale e commerciale?
Vi è poi una singolare coincidenza tra lo spegnimento anticipato di una rete generalista, Rai2 per il servizio pubblico, nelle regioni che passeranno al digitale e il fondato sospetto che la rete commerciale della Rai cui pensa il Governo sia Rai2. Raù. sarebbe piùcoerente come rete commerciale ma avrebbe effetti concorrenziali rilevanti nei confronti della tv commerciale e degli altri mezzi
La Rai potrebbe trovarsi, insomma, a progettare una rete che sia, allo stesso tempo, appetibile dal mercato, quando avrà indici d'affollamento pari alle tv commerciali e gradita agli abbonati digitali. Una rete che, dal 2001 al 2006, ha perso tre punti percentuali in prima serata e si ritrova davanti a un possibile doppio futuro, digitale e commerciale.
Chi la dirigerà (Giovarmi Minoli?) dovrà anche stare attento a non cannibalizzare gli ascolti di Rai3 in prima serata. Allo stesso tempo, Raii, leader d'ascolto, potrebbe vedersi costretta ad alzare i suoi prezzi a fronte dell'eventuale riduzione dell'affollamento: operazione rischiosa in un mercato che tende a penalizzare il mezzo tv a favore dei nuovi media, Internet in testa.
L'azienda, infine, continua a ragionare con tre "teste" verticali e separate, le sue reti tv, mentre, valorizzando le proprie eccellenze, dovrebbe ideare e produrre formati trasversali in grado di essere sfruttati su tutte le piattaforme, a partire ovviamente dalle reti analogiche.
Marco Mele
per "Il Sole 24 Ore"