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Tanti auguri Mike: 83 anni e non sentirli...

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Fonte: Sorrisi.com

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Televisione
  venerdì, 25 maggio 2007
Fossimo in America, a quest’ora sarebbe considerato un monumento vivente. Invece siamo in Italia, lui è lo stesso un monumento vivente, però non tutti si rendono realmente conto di ciò che Mike Bongiorno è. Il giorno in cui è nata la televisione, il 3 gennaio del 1954, lui c’era. La tv commerciale, come gli piace chiamarla, l’ha tenuta a battesimo sempre lui, nel 1977. Il quiz, dall’America, l’ha portato lui nel nostro Paese. Le vallette (antenate delle Veline e delle Letterine) sono una sua invenzione. I programmi che hanno fatto la storia del costume, da «Lascia o raddoppia?» a «Rischiatutto», sono suoi. Intervistarlo, in prossimità del suo ottantatreesimo compleanno (sabato 26 maggio) è uno spettacolo per le orecchie e per gli occhi. Lo sguardo gli si illumina quando ricorda gli esordi, appena sedicenne, a «La Stampa» di Torino o le minigonne «della Sabina» (Ciuffini) a «Rischiatutto». Il suo racconto, che è la storia della televisione, è un fiume in piena. E poi basta con il luogo comune di Mike Bongiorno uomo medio e dallo scarso eloquio. Il suo italiano è ricco di aggettivi inconsueti e modi di dire caduti in disuso. Senza contare che il Mike (come sono in molti a chiamarlo a Milano) è uno dei pochi fan rimasti del congiuntivo e del passato remoto, dettaglio che ce lo fa amare ancora di più. Qualcuno ha detto che questo signore, con i suoi programmi, ha insegnato l’italiano agli italiani. Siamo d’accordo.
 
Mike, lei è finito sulla copertina di «Sorrisi» 83 volte, record assoluto a pari merito con Pippo Baudo. E con questa fanno 84. Sempre più in alto!
«Francamente faccio fatica a crederci persino io. Quando mi hanno fatto le foto con tutte le copertine, è stato impressionante anche per me».
 
Lei oggi è l’unico presentatore della tv italiana ad essere stato presente il giorno in cui è nata la televisione, con la rubrica «Arrivi e partenze».
«Veramente io c’ero già da un bel po’ prima. E anche se l’inizio ufficiale è stato nel 1954, con “Arrivi e partenze” andavo in onda già da un anno».
 
Pur giovanissimo, lei era un veterano dello spettacolo.
«Ero venuto in Italia come inviato speciale dagli Stati Uniti per realizzare alcuni documentari radiofonici sulla ricostruzione. La mia fortuna è stata che a New York, lavorando per “The Voice of America”, avevo un pass del Dipartimento di Stato che mi permetteva di andare a tutte le grandi manifestazioni e sedermi in prima fila accanto ai grandi radiocronisti e telecronisti. Quella per me è stata una scuola eccezionale. Senza contare che prima di andare in America in seguito a uno scambio di prigionieri, quando ancora abitavo a Torino io già lavoravo come giornalista. E anche questa è un’altra gran bella storia».
 
Ce la racconta?
«A scoprirmi fu Luigi Cavallaro, un grande giornalista dello sport che purtroppo è morto con la squadra del Torino nell’incidente di Superga. Anche lì fu tutto un caso straordinario dovuto alla mia passione sportiva. Avevo 16 anni, e dato che ero particolarmente agile, fui mandato a fare i campionati giovanili. Quel giorno riuscii a saltare fino a un metro e 65, vincendo la gara. Pensate, un ragazzo di 16 anni, con le scarpe bianche di gomma, e con i calzoncini neri e la scritta “Opera Nazionale Balilla”! Quando andai nello spogliatoio entrò un giornalista per intervistarmi, ed era Luigi Cavallaro. Mi disse: “Senti, vedo da come parli che sei un ragazzino molto sveglio. Purtroppo siamo in guerra, e i miei giornalisti sono quasi tutti al fronte. Ho bisogno di un giovane che mi faccia da galoppino”. Io accettai. Sempre alla “Stampa”, qualche tempo dopo, mi offrirono un altro lavoro molto importante. Allora non esistevano le telescriventi e quando il giornale chiudeva, all’una di notte, c’erano gli articoli da trasmettere ai giornali affiliati. Io che cosa facevo? Mi chiudevo nella cabina e parlavo con gli stenografi, dettando i pezzi che il direttore aveva scelto per gli altri giornali. È stato lì, parlando al telefono, che ho imparato a impostare la voce».

Della nascita della tv abbiamo detto. Parliamo del primo programma di straordinario successo, il suo «Lascia o raddoppia?», dove lei tenne a battesimo la prima valletta.
«In televisione c’erano già le annunciatrici, ma la prima valletta in effetti è nata con me. Tutti la chiamavano “la valletta muta” perché dava le buste e non parlava mai, e i giornali dicevano che era colpa mia, che non la facevo parlare perché ero geloso. In realtà Edy Campagnoli, pace all’anima sua poverina perché non c’è più, non sapeva mettere due parole in fila».
 
Quale delle sue vallette ricorda con più affetto?
«Ce ne sono due che ricordo in modo particolare. La prima perché era di una bellezza straordinaria, la Patrizia Garganese, che veniva da Taranto. Arrivava su col papà e la mamma in vagone-letto, e appena finito risalivano sul vagone-letto. La seconda, che ha rappresentato la rivoluzione nel campo delle vallette, è stata la Ciuffini. Andai personalmente davanti alle università per cercare delle ragazze belle e intelligenti. Durante i provini, poi, mi accorsi subito che la Sabina era veramente molto graziosa. In Italia fu una delle prime a portare la minigonna. E fu la prima valletta parlante in un mio quiz».
 
Lei che ha inventato le vallette, come commenta i recenti fatti di Vallettopoli?
«Lo ripeterò finché ho fiato in gola: “Ragazze, smettetela di fare a gara a chi si scopre di più!”. Mio figlio più piccolo me lo dice sempre: “Papà, guarda che oggi purtroppo le ragazze non sono più come quando tu eri giovane. Adesso sono molto mature, sanno e fanno cose che mai più voi vi immaginate!».
 
Qual è stato «il» concorrente per eccellenza dei suoi quiz?
«Massimo Inardi, l’esperto di parapsicologia. Fece epoca perché, al “Rischiatutto”, vinse la cifra più alta che mai era stata data. In una puntata addirittura hanno fatto fare le domande non a me ma alla Sabina perché credevano che lui mi leggesse nel pensiero».
 
Arriviamo a fine Anni Settanta. Con Telemilano 58, la futura Canale 5, nasce la tivù commerciale. E a tenerla a battesimo c’è lei.
«Io continuavo a lavorare per la Rai, che ci dava degli stipendi ridicoli. Un bel giorno ricevo una telefonata: “Mi chiamo Silvio Berlusconi e vorrei fare la televisione indipendente”. “Ah, molto interessante” gli rispondo. E lui: “Vorrei incontrarla, forse lei potrebbe collaborare con me”. Andai a parlargli e dopo pochi minuti capii che avrebbe fatto cose straordinarie. Mi disse: “Adesso dobbiamo mettere in piedi questa televisione, però senza farlo sapere a nessuno. I primi tempi, lei dovrebbe collaborare con me in incognito”. Accettai subito. Era il 1977, trent’anni fa esatti».
 
Veniamo all’oggi. Il 2007 si sta rivelando uno degli anni più vivaci della sua carriera: «Il migliore» su Rete4, le incursioni in Rai, il Festival di Sanremo, senza dimenticare gli spot-tormentone con Fiorello…
«“Il migliore” continua a darmi tante soddisfazioni. Il prossimo 24 maggio andrà in onda la finalissima, “I migliori dei migliori”, con tutti i vincitori delle prime 4 edizioni. Le ospitate poi le faccio perché sono in molti a chiamarmi. A Sanremo mi sono divertito molto, e non escludo di tornarci ancora, vedremo. Con Fiorello mi diverto sempre, è uno spasso continuo. Tutti dicono: “Ah, Mike è cambiato, finalmente è ironico”. Io però sono sempre stato così. Solo che prima non si vedeva».
 
Lei l’ha mai letta la «Fenomenologia di Mike Bongiorno» che Umberto Eco le dedicò?
«L’ho letta, e ho pianto anche. Deve sapere che, a quei tempi, noi avevamo delle persone che preparavano le domande per i quiz. Tra questi c’era un giovane di belle speranze che si chiamava Umberto Eco. Lui nega oggi di avere scritto le domande, io invece sostengo che era lui. Me lo ricordo che entrava nel nostro ufficio a portare le buste con dentro le domande. A un certo punto questo giovanotto pensò bene di scrivere un libro. Chissà, forse l’ha fatto perché magari voleva diventare famoso. Sia come sia, io ci rimasi molto male, anche perché questo ragazzo di belle speranze non aveva capito che le doti per fare il mio mestiere non hanno a che fare solo con la cultura. Quello che conta è la saggezza popolare, bisogna aver conosciuto a fondo il popolino. Ricordatevi che soprattutto nel Sud, in quei tempi, si parlava solo il dialetto. L’anno scorso il Presidente dell’Accademia della Crusca mi ha detto: “Mike, lei ha insegnato l’italiano agli italiani”».
 
È vero che le piacerebbe avere una laurea honoris causa?
«L’hanno data a così tanti personaggi! A me ancora manca. Speriamo in bene».
 
Mike, un altro anniversario importante: 35 anni fa a Londra si sposava con Daniela Zuccoli. La sua oggi è una famiglia di lavoratori dello spettacolo.
«È vero, sì. Anche se devo dire che i miei due figlioli più grandi all’inizio si vergognavano, non ci tenevano a dire che erano figli di Mike Bongiorno, perché allora io ero il personaggio da sfottere. Poi però è tutto cambiato. Michele, il primogenito, è un ragazzo molto in gamba e produce documentari. Nicolò, il poeta di casa, ama scrivere e fa il regista».
 
Leonardo, il figlio minore, lei lo chiama ancora Leolino?
«No! Ha 17 anni, e lo chiamo Leo. È avanti di un anno con gli studi e si sta per diplomare. Leo è diverso da Michi e da Nicolò. Questi giovani di oggi sono molto più difficili da gestire. Una volta alla settimana lo lasciamo andare in discoteca. “A che ora torni?” gli chiediamo. E lui: “Alle due”. Poi invece arriva alle quattro».
 
Lo aspetta alzato?
«Lo aspetto in cucina con la televisione accesa, e la paura che gli sia successo qualcosa».
 
E adesso qual è il suo sogno nel cassetto?
«Ormai sogni nel cassetto non ne ho, sono contento così. Sono stato fortunato e Dio mi ha aiutato, perché credo che tutte le sofferenze della prima parte della mia vita mi abbiano fatto crescere molto più in fretta. Adesso, comunque vadano le cose, sono tranquillo e mi godo la vita. Però conto di arrivare all’età di tutti i miei antenati: mia mamma è morta di recente a 99 anni, e tutti i suoi fratelli sono arrivati a 97 come minimo. Adesso però, se permette, le devo chiedere una cosa io».
 
Prego.
 
«A che cosa devo l’onore di finire ancora una volta in copertina su “Sorrisi”?».
A se stesso.
 
Aldo Dalla Vecchia
per "Sorrisi.com"

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