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La soluzione migliore sarebbe quella di confermare la data dello switch over (lo spegnimento di Rai 2 e Rete 4 entro il 16 giugno) e di prevedere uno slittamento di cinque mesi per lo switch off. Si possono ipotizzare diverse soluzioni per ovviare alla scarsità delle frequenze, ma vanno condivise a livello politico e istituzionale. È questo, in sintesi, il contenuto della ricerca condotta per conto del Corecom Lazio - diramazione sul territorio dell'Authority per la comunicazioni e organo di consulenza della Regione - dal Multimedia Lab del Cattid, Università La Sapienza e dall'Istituto di economia dei media della Fondazione Rosselli.
«Il digitale terrestre - sottolinea Francesco Soro, presidente del Corecom Lazio dall'ottobre 2008 - è certamente una gigantesca opportunità per l'ammodernamento tecnologico e per ampliare l'offerta, a vantaggio dei cittadini. Detto questo, «nel Lazio ci sono vari motivi di preoccupazione» precisa Soro. Il primo, secondo il presidente del Corecom, è la mancanza di un Piano regionale delle frequenze digitali (che deve arrivare insieme a quello nazionale: non si può fare un Piano del Lazio senza quello della Toscana e della Campania, ndr).
Mancano le frequenze - «In secondo luogo, non ci sono abbastanza frequenze per tutti». Qui sta il vero punctum dolens della situazione di Roma e Lazio. Il calcolo parte dalle 56 frequenze a disposizione - teorica - in ciascuna area territoriale in cui è stata divisa l'Italia (Viterbo sta in quella che include Toscana e Umbria).
Nel Lazio le emittenti, con sede legale nella regione, che hanno o la concessione o l'autorizzazione ministeriale sono 53-54; poi ci sono oltre 40 emittenti che trasmettono in parti della regione da quelle confinanti; queste ultime-non potranno continuare a farlo. Dai 56 canali vanno sottratti quelli da rendere compatibili, senza interferenze, con Francia e Città del Vaticano (che utilizza tre canali a Roma, uno per Radio Vaticana). Alle reti nazionali vanno riservate 25 frequenze mentre un terzo va assegnato, per legge, all'emittenza locale. I conti non tornano. Tanto più che otto frequenze sono in banda VHF-III, dove a oggi trasmette la Rai e dalle quali trasmetteranno Europa 7 e le radio digitali nel canale 12. In più, i canali da 61 a 69 dovrebbero essere, almeno in parte, assegnati dal 2015 per servizi di banda larga mobile. Tanto che le emittenti nazionali tendono generosamente a "lasciarli" alle tv locali.
Classificare le emittenti - Le soluzioni suggerite dalla ricerca partono dalla necessità di classificare le emittenti su base geografica, assegnando là stessa frequenza solo a quelle regionali. Un'altra frequenza potrebbe invece essere assegnata alle emittenti che coprono aree non interferenti geograficamente. Quelle da rendere compatibili con la Francia potrebbero essere assegnate a tv locali del Lazio orientale ma non a quelle costiere. Infine, questione delicata, le "micro emittenti" che operano su piccole aree potrebbero essere ospitate sui multiplex delle emittenti maggiori. Per le tv locali il principale asset è la frequenza in uso e le associazioni chiedono una frequenza per ciascuna emittente.
Sos decoder e antenne - Per Soro «vi è anche un deficit di comunicazione verso i cittadini». Saranno circa mezzo milione a Roma, e oltre un milione nella regione, le persone che avranno problemi di ricezione. Meglio verificare in tempo antenne e relativo cavo: secondo stime della ricerca, tra il 10 e il 25% del parco antenne richiederà interventi. In certi casi, si dovrà risintonizzare l'antenna. Quanto ai decoder, gli zapper a basso costo non consentono di ricevere i programmi pay: ma visto che ogni tv ha bisogno di un decoder, gli zapper, che costono sui 30 euro, possono andar bene per i secondi e terzi televisori. Il bollino blu sull'apparecchio significa che quel decoder può ricevere il pay e i servizi interattivi. Bollino grigio per gli zapper. Sul fronte prospettive economiche, le emittenti laziali hanno ascolti più bassi della media delle tv locali, specie nella fascia mattutina e in prima serata. Le televendite, non a caso, coprono buona parte del palinsesto, a scapito dell'autoproduzione, mentre vi è scarsità di contenuti audiovisivi qualitativamente accettabili per il mercato locale.
Marco Mele
per "Il Sole 24 Ore Roma"
(3/6/09)