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Paolo Borsellino, i 57 giorni: con Luca Zigaretti questa sera su Rai 1

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Fonte: Digital-Sat (com.stampa)

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Paolo Borsellino, i 57 giorni: con Luca Zigaretti questa sera su Rai 123 maggio 1992, la strage di Capaci. 19 luglio 1992, l'attentato di via d'Amelio.

Due date che hanno segnato con il sangue la nostra storia recente: la morte di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e, nemmeno due mesi dopo, quella di Paolo Borsellino e degli agenti Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

A vent'anni da quei drammatici e luttuosi eventi, Rai dedica un film, diretto da Alberto Negrin e scritto da Francesco Scardamaglia, al ricordo dei due magistrati antimafia, divenuti simbolo di quell'Italia onesta che finalmente alza la testa contro lo strapotere di Cosa Nostra. Due uomini uniti da una profonda amicizia e da un comune senso dello Stato, accomunati dalla lotta alle cosche, alla criminalità organizzata, e da un unico, tragico destino. 

Paolo Borsellino, i 57 giorni, è il film che Rai 1 trasmette in prima serata martedì 22 maggio, alla vigilia del ventennale. Uno straordinario Luca Zingaretti dà volto e corpo al giudice palermitano in quei 57 giorni che lo separano dall'uccisione di Falcone, giorni in cui intuisce la sua fine e fa i conti con la propria vita. 57 giorni in cui Borsellino è impegnato in un lavoro massacrante, quasi una corsa contro il tempo, ma in cui cerca ugualmente di vivere fino in fondo tutti gli affetti familiari, dalla moglie Agnese ai tre figli, Fiammetta, Lucia e Manfredi.

Poi, nel pomeriggio di una domenica di luglio, l'esplosione di via d'Amelio.
Per interpretare Borsellino, Zingaretti si è sottoposto a lunghe e impegnative sedute di trucco in modo da assumere le sembianze di un uomo deluso e affranto per i tanti tradimenti, per la morte dell'amico e di molti suoi colleghi.

Nel cast, Lorenza Indovina (Agnese Borsellino), Enrico Ianniello (Antonio Ingroia), Davide Giordano (Manfredi Borsellino), Rori Quattrocchi (la madre di Borsellino) e Andrea Tidona (Giammanco). Le musiche di Ennio Morricone sottolineano le immagini drammatiche ma anche più intime e autentiche del film, coprodotto da Rai Fiction e Compagnia Leone Cinematografica.  

Nella sceneggiatura, scritta da un grande autore qual è stato Francesco Scardamaglia, non c'è soluzione di continuità tra il Borsellino "privato" e quello "pubblico": l'uomo rimane sempre fedele a se stesso e alla sua visione della vita. <<C'è un indissolubile intreccio tra le due realtà che produce, senza alcun artificio, una crescente sequenza di momenti di alta commozione, a volte di tensione e a volte di allegria e comicità - racconta il regista Negrin - perché Paolo Borsellino era un uomo dai sentimenti delicatissimi, estremamente allegro, ironico e generoso, sempre>>.

Per la preparazione del film, oltre a visionare le interviste date da Borsellino, i suoi interventi in pubblico e le registrazioni su via d'Amelio, i produttori e il regista hanno incontrato ripetutamente il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso e il Giudice Antonio Ingroia, ma anche la famiglia, così da chiarire innumerevoli dettagli, capire alcuni passaggi oscuri e correggere alcune idee che purtroppo nascevano da opinioni correnti.
Molti dei luoghi in cui è stato ambientato il film sono gli stessi in cui aveva agito Borsellino: il Palazzo di Giustizia di Palermo (è la prima volta che viene fatta entrare una troupe cinematografica), via Cilea (dove abitava il giudice e tuttora abita la famiglia), la barberia (quella dove si trovava Borsellino nel momento dell'esplosione sull'autostrada Punta Raisi-Palermo) e la chiesa nella quale, spessissimo, si recava.

"A questo punto - dice il regista Alberto Negrin (che aveva già diretto Zingaretti in Perlasca) - l'unico giudice di cui temo la sentenza è la famiglia di Paolo Borsellino, una famiglia che ci ha aiutati in ogni modo e che spero possa essere ricompensata da questo nostro omaggio alla memoria di un marito e di un padre assolutamente esemplari, perché fino al suo ultimo istante ha dimostrato di essere anche un giudice e un funzionario dello Stato pronto a perdere anche la vita pur di compiere il proprio dovere".

Dal luglio del 1992 sono stati fatti vari processi per la strage di via D'Amelio, ma in vent'anni la verità ancora non è stata trovata.

Di recente le rivelazioni di un nuovo pentito hanno scagionato alcuni di coloro che erano stati condannati. Per questo motivo la Procura di Caltanissetta ha avviato il processo di revisione. Le indagini su depistaggi e mandanti esterni sono tutt'ora in corso.

Il lavoro di Borsellino e di Falcone non è stato però fermato dal loro assassinio. Altri hanno raccolto la loro eredità e continuano a combattere oggi la stessa loro battaglia contro le mafie e l'illegalità mettendo la propria vita al servizio della società civile.

LA STORIA 

23 maggio 1992. Paolo Borsellino (Luca Zingaretti) è dal barbiere. È un giorno speciale. Aspetta il suo amico Giovanni Falcone, che torna a Palermo da Roma per qualche giorno. Si vedranno a pranzo, Borsellino ha seminato la scorta per andare al mercato del pesce e comprare qualcosa di speciale, ha cucinato lui stesso. Bisogna festeggiare la candidatura di Giovanni alla Superprocura, la nomina è data per certa.

Ma arriva una telefonata sul cellulare del giudice. Una notizia terribile: un attentato sull'autostrada Punta Raisi-Palermo. Vi è coinvolto Falcone.  Borsellino corre all'ospedale. L'amico gli muore tra le braccia.

Dal giorno dopo Borsellino combatte contro il tempo. Ha bisogno di capire, di comprendere che cosa c'è dietro alla morte dell'amico, che è più che un fratello per lui. Nel profondo di sé, Borsellino intuisce che lui e Falcone sono legati da un destino comune. Entrambi si sono battuti contro la mafia e hanno vinto una battaglia decisiva, istruendo il maxiprocesso. Entrambi sono divenuti il simbolo dell'Italia onesta che finalmente ha alzato la testa contro lo strapotere di Cosa Nostra. Ma ora Borsellino è rimasto solo.

La sua è una attività frenetica e sottile, per arrivare alle verità, prima che il destino che ha travolto Falcone afferri anche lui. Tante cose sono cambiate in Italia, tutto sta muovendo verso un futuro mai così incerto. Al nord è scoppiata Tangentopoli che minaccia di travolgere un'intera classe politica. Al sud la Cassazione ha confermato gli ergastoli del maxiprocesso per la Cupola mafiosa. Cosa Nostra è come una belva ferita. Borsellino intuisce che è alla ricerca rabbiosa di nuove strategie: l'assassinio di Falcone è l'inizio di una offensiva terroristica, una dichiarazione di guerra allo Stato. Ma in nome di che cosa?

E il giudice sa che il suo nome è ora la nemesi, nei fatti e nella coscienza del Paese, degli interessi della Mafia. Un nemico da abbattere, perché tutto torni come prima.
Questa è la storia dei cinquantasette giorni che separano la morte di Falcone da quella di Borsellino. Giorni in cui il giudice intuisce il suo destino e fa i conti con la propria vita, con gli affetti. Traccia il bilancio di un'esistenza, del suo impegno, come magistrato e come uomo, delle vittorie e delle sconfitte. Giorni di tenerezza e d'amore con la moglie, con i figli, con i colleghi, gli amici. Giorni di lotta con i nemici palesi e occulti che, lui lo sa, hanno già tracciato il suo destino. Ma anche giorni di speranza. Di intuizioni sui nuovi scenari che si profilano, in quell'anno in cui tutto cambia. Giorni di lotta, di scoperte, di nuove idee, che sopravvivranno a Borsellino e che chi verrà dopo, raccoglierà. Affinché le stragi di Capaci e di via D'Amelio, che, nell'idea di chi le ha organizzate, dovevano essere il trionfo della strategia stragista di Cosa Nostra, segnino l'inizio della sua fine.

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