Ci voleva un addetto ai lavori istituzionale, non accusabile di alternativismo o feticismo da nicchia, perché la pentola Sanremo fosse scoperchiata. «Il festival di Sanremo tra 5 anni sparirà ».
L'epigrafe non è né di un bolscevico né di un cantautore integralista, ma di Enzo Mazza, presidente della Fimi, la Federazione dell'Industria Musicale Italiana. Per Mazza «Sanremo è ormai un prodotto puramente televisivo, seguito da un pubblico in età avanzata. Scomparirà come prodotto quando scomparirà questo tipo di televisione, già sulla via del declino. Non sono io a dirlo, lo dicono tutti. Nella tv c'è un'emorragia di pubblico, come è avvenuto nell'industria discografica. In futuro non ci saranno più pochi artisti con grandi numeri, ma tanti artisti con piccoli numeri. Stanno nascendo alternative, legate alle reti digitali, per far conoscere gli artisti. Per una casa discografica è più conveniente lanciare un nome tramite internet o sul telefonino, che portandolo a Sanremo».
Le vendite dei cd sono crollate del 30 per cento, le major licenziano, da lunedì prossimo le classifiche di vendita dei cd singoli verranno definitivamente soppiantate dal rilevamento del numero dei download.
E Sanremo? «Non dice più nulla. Nessuno compra più un disco per averlo ascoltato all'Ariston. Ogni giorno i videoclip visionati su internet sono superiori a quelli trasmessi in tv. In ogni settore dell'informazione ci si interroga sul fenomeno della "disintermediazione", ad esempio l'esplosione del fenomeno dei bloggers. Sanremo neanche si è accorta della rivoluzione. Il mondo va da una parte, Sanremo dall'altra. Anche la filosofia della gestione Baudo non è quella di valorizzare i giovani, ma di conservare il conservabile. Così Sanremo si è garantito una morte imminente: o cambia drasticamente o è finita».
E' fatto discretamente acclarato che Sanremo sia da anni (decenni?) non più vetrina musicale ma trito rito nazionalpopolare, stonata e prescindibile messa cantata catodica. Il vaso deve però essere davvero colmo, se perfino l'ex mainstream Syria si è buttata - non senza gusto - sul trend alternativo, auspicando che «finalmente Sanremo scopra voci nuove: basta con i mostri sacri».
Lo stesso Giordano Sangiorgi, «padre» delle etichette indipendenti e per questo non accusabile di collaborazionismo con l'industria discografica ufficiale, ha accolto con soddisfazione le esternazioni di Mazza: «Sono pienamente condivisibili. Il futuro è la Rete, è MySpace, è Youtube. La "tv musicale" va totalmente ripensata. Quando le case discografiche erano in auge, puntavano su Sanremo. Oggi è solo un veicolo di gossip, così concepito è inutile».
Sanremo sta all'attuale fruizione musicale come le cabine telefoniche stanno alla telefonia mobile: arcaico, di un'epoca sideralmente lontana. Per usare la formula di un vecchio monologo di Beppe Grillo (che in quel caso alludeva col consueto ottimismo all'umanità ), l'establishment di Sanremo ricorda i passeggeri del Titanic che ballavano festanti mentre la nave andava a fondo. La rivoluzione discografica avrebbe anche aiutato Sanremo, manifestazione concepita non per lanciare dischi ma brani.
E' lo stesso concetto del download, che ha riportato al centro di tutto non il cd completo ma la canzone, il «singolo», versione cibernetica del vecchio 45 giri. Il problema è che in pochi, se non sotto tortura, potrebbero nel 2008 anche solo ipotizzare l'idea di scaricare il nuovo brano di Marcella e Gianni Bella, o Facchinetti senior e junior (cioè il fu Dj Francesco).
Le parole di Mazza hanno svelato il già noto. Gli spettatori, in cuor loro, non ignoravano certo che qualsiasi presentatore sanremese, dal quasi innovatore Bonolis all'estremista conservatore Baudo, apparisse come un generale asserragliato nel suo fortino di legno, col mondo fuori che nel frattempo non somigliava più a un film western ma a Blade Runner.
Lâitalianissimo attaccamento alle tradizioni laiche ha, per un po', reiterato la finzione (e prolungato l'agonia). Ora, forse, è il momento che il Titanic si accorga dell'iceberg. O, se non altro, ne prenda atto.
Andrea Scanzi
per "La Stampa"